Contromano

27 luglio 2015

Non c’è modo di sapere se sia la scelta giusta o una cazzata di proporzioni storiche. Non posso saperlo adesso e nemmeno a breve. Il tempo delle valutazioni verrà, non è di certo adesso.

Potrei stare dove sto e avere la vita facile.

Una casa piccola ma che mi riflette molto, coi quadri alle pareti che raccontano la mia storia.

Un lavoro fatto tra gente che mi stima e mi rispetta, con colleghi simpatici, ritmi frenetici ma tutto sommato sopportabili e la sicurezza di poter crescere professionalmente nella direzione più affine alla mia indole e ai miei interessi. Uno stipendio cui non osavo nemmeno aspirare.

Potrei andare in banca, chiedere un mutuo e comprarmi una casa. Senza l’aiuto di nessuno, senza l’ansia di non farcela, senza l’umiliazione di dover chiamare i miei genitori a firmare per me. Come un’adulta.

Potrei continuare questa vita facile facile e senza intoppi. Vacanze esotiche ad ottobre e il resto dell’anno speso nella mia isola di tranquillità.

Un’isola circondata da un oceano di solitudine. Una vita spesa a sedere su una bella poltrona al centro di una grande casa vuota.

Aggrappata alla speranza che gli amici di sempre restino tali e ricordino il mio compleanno. Con un occhio al calendario e uno al sito di Ryanair per prenotare i rientri, incastrarli con quelli altrui, non deludere nessuno e condensare il poco tempo a disposizione.

Sorridere due settimane all’anno tra i profumi della famiglia, i paesaggi conosciuti e le memorie dei sentimenti più forti. Per poi tornare nella bella casa vuota. A condurre una vita senza relazioni ed evidentemente insignificante.

Non fa per me.

E allora la decisione è presa.

Ho disdetto la casa coi quadri che raccontano la mia storia. Ho scritto l’ennesima lettera di dimissioni. Ho chiuso i contratti delle bollette e presto chiuderò anche, finalmente, l’ombrello.

E ho comprato un biglietto di solo ritorno.

Ho affittato una casa in una città dove non ho mai vissuto prima, ma è in Italia e non mi fa paura. Ho già invitato degli ospiti e i primi dormiranno con me quando non avrò ancora nemmeno un letto.

Non so se troverò un lavoro e questa è la cosa che mi fa più paura. Ma non posso continuare a vivere a Manchester solo perché ho paura. Non voglio una vita tranquilla, voglio una vita vissuta in mezzo agli altri. Voglio essere parte di una cosa, di una famiglia, di una serie di inviti a cena, di uscite improvvisate e incontri fugaci. Non soltanto di una chat su WhatsApp.

Torno a casa tra un mese.

Senza un piano, ma con la certezza che buttarmi valga la pena.
Ho paura di quello che succederà, di sbattere la testa contro una realtà che mi pare meno tragica perché non me la ricordo. Ho paura che questa scelta si riveli una stupida illusione e che in poco tempo sarò costretta a fare di nuovo i bagagli e tornare indietro.

Ma lo devo fare e lo faccio.

Lascio le aride garanzie della mia vita inglese e vado alla ricerca della vera me.

But did you imagine it in a different way?

 

Ho fatto carriera

10 Maggio 2015

Ci sono voluti meno di quattro anni e ce ne sarebbero voluti anche meno se “fare carriera” fosse stato il vero obiettivo. Non lo era, e io invece lavoravo solo per guadagnare quel che mi serviva per affitto, bollette e qualche viaggio ogni tanto. Stava andando già tutto bene, poi all’improvviso ho incontrato una reccruiter, lei mi ha proposto questo lavoro interessante e voilà, mi sono trovata proiettata nel mondo di quelli che ce l’hanno fatta.

Ho iniziato il nuovo lavoro meno di tre mesi fa e faccio una cosa relativa alle pubblicazioni, dove si scrive e si impagina e il risultato sono libri bellissimi. Faccio una cosa che mi piace moltissimo, ne vedo il risultato, lo tocco con mano e mi pare che il mio lavoro abbia un senso.
Inoltre l’atmosfera in ufficio è estremamente tranquilla, nonostante la pressione delle frequenti scadenze. I colleghi sono simpatici e collaborativi; ci si dà sempre una mano.

Ho riflettuto molto su questa cosa della collaborazione in ufficio e ho capito che un’atmosfera di totale cooperazione è inevitabile quando si lavora tutti col contratto vero, con stipendi veri e senza l’ansia da prestazione di chi deve mostrare di essere meglio dell’altro perché quando si rinnoverà solo un contratto su tre sarà mors tua vita mea.
Per fortuna qua in Inghilterra, e in particolare nel mio ufficio, non è così: noi siamo tutti alla pari, lavoriamo insieme e ci aiutiamo. L’obiettivo è lo stesso per tutti e i meriti sono divisi equamente.

Ah, e ve l’ho detto che lo stipendio è decisamente alto? Beh, lo è.

Va tutto bene. Però.

Lavoro tantissimo. E da quasi tre mesi la mia vita si svolge quasi esclusivamente tra le mura dell’ufficio. Mi alzo, faccio colazione, saluto S. e all’improvviso sono le 9 di sera, io sono esausta, riesco faticosamente a farmi una doccia e a trascinarmi a letto. In sogno implemento strategie e indico riunioni, mi consulto coi colleghi, porto a casa il risultato. Poi mi sveglio e rifaccio tutto dal vivo. Poi torno a casa, doccia, letto e ricomincio il giorno dopo.

Ma che senso ha? Ma che senso ha?

Che faccio nella mia vita? Io lavoro. E basta.
Non vedo un film da mesi, non scrivo sul blog, non rispondo alle mail degli amici, non leggo le riviste cui sono abbonata, non parlo su Skype con nessuno. Il sabato sono stremata e mi aggiro per casa come un fantasma evitando gli specchi per non vedere le mie occhiaie.
E sono sola: lontana dagli amici veri, dalla famiglia, dalla mia cultura. Potrò contare su qualche settimana di ferie per incontrare alcune persone che vedrò dal vivo solo per qualche giorno l’anno. Per il resto saranno telefonate e racconti di una vita vissuta separatamente. Proclamavo l’importanza di una vita di relazioni ma più sto qui e più sento di averla fallita.

Se avessi un po’ di tempo per riflettere su questi ultimi mesi mi renderei conto che ho buttato al vento tre mesi della mia vita, spesi solo a lavorare e per il resto vuoti. La crescita professionale ha qualcosa a che vedere con la crescita personale?

Sono troppo stanca anche per regalarmi una cena in un posto fico e pagarmela coi soldi guadagnati. Al weekend voglio solo togliermi la giacca e girare scalza.

La carriera, lo sapevo, non ha senso per una cui non interessano i soldi.

Cosa vorrei? Meno soldi, meno impegni, meno solitudine. E più tempo libero, più risate con gli amici, più sedute al sole in piazza Trilussa.

Lavori per comprarti la macchina per andare al lavoro

Lucky me

25 agosto 2014

Clicco Enter the competition e penso quanto sono cretina che faccio ste cose, ché si sa che nessuno ha mai vinto e però vabbè, alla prima newsletter promozionale che mi arriva mi disiscrivo così mi lasciano in pace.
Poi non ho mai vinto niente in vita mia, non inizierò certo a vincere ora, in uno dei miei periodi più bui di sempre, no?

NO!
Tempo due giorni e Congratulazioni, hai vinto una cassa di champagne, e visto che ci sentiamo ultra generosi sai cosa?, ci aggiungiamo pure una cena nel nostro ristorante francese, quando vieni!?

Ieri sera.

taittinger champagne

Allora adesso ho il frigo più sexy del mondo. Del resto, come diceva la collega francese di S., non puoi nemmeno chiamarlo frigo se non contiene almeno una bottiglia si champagne. E il mio attualmente ne contiene svariate. Così come la mia dispensa.

Champagne everywhere

E adesso?
S., il moderato in tutte le questioni di cibo, vorrebbe aspettare un’occasione speciale. Anzi, sei occasioni speciali, che meritino un brindisi di un certo livello.

Mia madre, l’anima della festa, pensa che un motivo per celebrare lo si trova sempre, e si chiede come mai non abbiamo ancora stappato nemmeno una bottiglia.

Io ho pensato che di cose da celebrare ne ho diverse, e allora mi sono fatta un piccolo elenco:

  • potrei festeggiare il fatto che ho perso il lavoro e che dal primo settembre, quando tutti voi finirete le ferie e lamenterete il ritorno in ufficio, io starò a casa, dopo aver perso l’estate a fare un lavoro senza più speranze;
  • potrei festeggiare mia sorella, che mi rende orgogliosa e mi dà un sacco di preoccupazioni, ma alla fine l’orgoglio prevale, ma pure le preoccupazioni non scherzano;
  • potrei festeggiare il fatto di non avere, qua a Manchester, quegli amici coi quali avrebbe senso stappare tutto lo champagne in una sola sera, farci dei cocktail e poi ballare gli Smiths in mezzo alla sala;
  • potrei festeggiare quel senso di smarrimento e di blocco che mi ha preso ultimamente, e che mi ha aperto gli occhi sul fatto che davvero sono tra i pochi che conosco a non avere idea di cosa stiano facendo o di cosa vorrebbero fare della loro vita.

Ma poi, alla fine di tutto, ho pensato che lo champagne è solo un vino buono, niente di più, e allora la cosa più sensata è trattarlo come si è sempre trattato il vino buono sulla tavola di casa mia: quando il pasto non è niente di che, si dimentica la miseria abbinandogli il vino buono. E quando il pasto è particolarmente gustoso, lo si esalta con il vino buono.
Insomma, il vino buono, o lo champagne, va bene sempre.

Cominciamo col pranzo di oggi allora: champagne e polpette al sugo.

 

 

Volare

15 gennaio 2014

Da aprile Ryanair avrà un nuovo volo: Manchester – Bologna.

Sono felice.

Ma soprattutto sono meravigliata di quanto questa notizia abbia scolpito la mia giornata.
Con la mente, con le mail, con i messaggi su Whatsapp oggi ho già volato.

Ho chiamato i miei amici di Bologna e quelli della costa adriatica, ho programmato mentalmente i weekend, le passeggiate sotto i portici, le cene all’osteria, le dormite sui divani.

Ho sognato gli abbracci all’aeroporto con chi non vedo da mesi, da anni; i viaggi sulla A14 guardando il mare, le pause caffè all’autogrill, il fischio del treno che mi porta a casa.

Ho immaginato gli arrivi a Manchester dei miei amici e ho sognato che avvenissero 2-3 volte all’anno e di incentrare le nostre chiamate Skype sul programma di una gita insieme anziché sul racconto di giornate spese con un mare e molte montagne a separarci.

Ho ritrovato i miei sentimenti più veri, quelli nascosti sotto il velo di quotidianità dei miei giorni a Manchester, di una vita che sì, è normale, ma ne nasconde una eccezionale alla quale appartengo molto di più.

Volare - Domenico Modugno

Volare – Domenico Modugno

Invitare gli amici a cena è una delle cose che mi mancano di più in questa mia vita in Inghilterra.

La cena a casa con gli amici è uno dei motivi per i quali vale la pena vivere. Le chiacchiere intorno al tavolo mezzo sparecchiato, le sedute stravaccate, le scarpe coi tacchi buttate in un angolo, le confidenze che si fanno più grandi quanto più le ore piccole. E tutta quell’atmosfera lì che sa di calore e di famiglia e che ha il gusto delle cose buone, nonostante si sia mangiato solo un piatto di pasta al pesto.

La cena a casa con gli amici è bella anche quando poi la serata è finita. Ci si sfrega le cosce pronti a ripartire, si inizia a sbadigliare guardando l’orologio e si decide che è ora di dormire. Uno si offre di buttare l’immondizia mentre esce, uno chiede un passaggio leccando dal bicchierino l’ultima goccia di amaro, un altro fuma la sigaretta della buona notte. Si progetta il prossimo appuntamento, che verrà puntualmente disatteso, e poi si chiude la porta dietro l’ultimo uscito.

Quando finisco di sparecchiare dopo una cena a casa con gli amici sono serena e godo per aver investito il mio tempo nel migliore dei modi, per non aver sprecato la giornata a lavoro e basta in una produttività sterile e insignificante. Allora mi sento piena e viva.

Gli amici amici, però, non ce li ho in Inghilterra. E così le cene cene non le posso fare. Mi mancano, sì, ma in cambio ho gli ospiti, quelli che vengono per restare ben oltre una cena. E’ tutta un’altra cosa.

Tutte le mie case sono sempre state piene di ospiti. Hanno dormito sui divani, per terra, in letti sovraffollati, in letti inaspettati, sui tavoli, sui materassi gonfiabili. Venivano in bici, in macchina, a piedi, al massimo in treno. Ma da quando sto in Inghilterra i miei ospiti fanno uno sforzo in più per arrivare da me: prendono l’aereo. E questo fa una grossa differenza.

english terraced houses

Gli ospiti di adesso risparmiano i soldi per il biglietto, chiedono dei giorni di ferie, comprano on line con largo anticipo, schiacciano mille cose in un solo bagaglio (rigorosamente a mano) e finalmente partono. Se i loro preparativi si somigliano tutti abbastanza, sono invece i loro approcci alla permanenza ad essere molto diversi tra loro.

Ecco allora le varie tipologie di ospiti riscontrate finora:

  • Gli amici amici: arrivano ed è subito casa. Se stessero un mese sarebbe comunque troppo poco. Vanno via e ti ci vuole una bottiglia di quelle buone per riprenderti dal distacco. Ogni volta più duro.
  • I redivivi: non li sentivi da anni. Hanno scoperto per vie traverse che vivi in un’altra nazione e questo è abbastanza perchè desiderino riallacciare i rapporti. Tu sei solo il tuo tetto, gratuito, sopra la loro testa in vacanza. Ciò non intacca la tua gioia di avere in casa una ventata di aria patria.
  • I latitanti: li conosci chissà come e non li hai mai frequentati, nemmeno quando vivevate sullo stesso pianerottolo. Ma ora loro sono da te, dopo una richiesta inaspettata e immotivata di ospitalità. La tua vita in terra straniera non gli interessa, e non hanno alcuna intenzione di parlarti della loro. Girano per la città per conto loro mentre tu lavori e hanno l’aria di sopportare a mala pena la tua presenza in casa quando rientri la sera. Potrebbero essere fuggiti dall’Italia per qualche losco motivo, del quale tu non sei comunque tenuto a spere niente. Tu sbuffi un po’, ma la loro compagnia è sempre meglio di niente.
  • I bancomat-addicted: scendono dall’aereo e si sentono già in debito con te. Provano a pagare tutto loro, dalla birra al pub alla bolletta dell’acqua arrivata proprio quel giorno. Spiegargli che loro per te non sono affatto una spesa non funziona e devi trovare escamotage alla 007 per riuscire a pagarti il biglietto del bus.
  • I sempiterni: al primo contatto ti annunciano di voler venire a trovarti per un weekend. Dopo quattro giorni di permanenza scopri che hanno prenotato il ritorno dopo una settimana. Per uno strano caso del destino porco, non si tratta mai degli amici amici.
  • I turisti: il loro unico interesse è girare il più possibile la città. Ovviamente insieme a te. Non si fanno fermare da pioggia, temperature polari o venti a cento nodi, e si stupiscono se non conosci ogni singola pietra della città in cui tu vivi da appena quattro mesi. Ti aiutano a conoscere un sacco di cose, ma quando vanno via hai bisogno di andare tu in vacanza da qualche parte per riprenderti.
  • I genitori: li vedi ed è subito nostalgia dell’infanzia. Loro vogliono prendere il pullman panoramico e tu vuoi solo chiedergli 10 euro; loro fanno la spesa e cucinano e tu vorresti avere la tv per poter litigare con tua sorella a chi tiene il telecomando. Quando ripartono capisci che la tua vita fa schifo e che vivere all’estero non ha alcun senso.
  • I puri: hanno preso le ferie, preso l’aereo, rinunciato al caldo patrio, solo per vederti. Per entrare nella tua vita in medias res, farti mille domande e reglarti del caffè buono. Della città gli interessa solo scoprire quali sono i tuoi posti preferiti, vogliono vedere coi tuoi occhi e capirti il più possibile. Sono come una lunga, terapeutica seduta di psicanalisi. O come un’interrogazione in cui prenderai 10. Spesso si sovrappongono con gli amici amici, ma non necessariamente. Ti vogliono bene e tu gli vuoi bene.

Ognuno di loro mi fa sentire a Manchester come se fossi a casa mia. Ognuno di loro si porta via casa quando se ne va.